Psyphotographie: perchè si dice che l’autoritratto sia terapeutico

Dated // 01 Lug 2022 • Filed under // Psicologia & Fotografia, Senza categoria

L’autoritratto fotografico come strumento terapeutico

Eccoci di ritorno (con un mese di ritardo, mi dispiace) il nostro appuntamento con la fotografia e la psicologia.

Nel nostro ultimo appuntamento, qui in link, abbiamo parlato delle differenze fra selfie e autoritratto.

Oggi parleremo di cosa significa terapeutico e perché possiamo affermare che l’autoritratto abbia benefici su di noi.

Nei miei anni di conversazioni silenziose con la fotografia, mi sono avvicinata all’autoritratto scoprendone il potere benefico su di me e sul mio sguardo.

Quest’ultimo sempre troppo critico, pronto a vedere e valorizzare solo i difetti, fino a modificare la percezione sul mio aspetto fisico e persino interiore.

Nel mio percorso di crescita l’autoritratto  è stato un valido alleato, un modo di esprimere la mia creatività e leggermi guardando con empatia e quel distacco dalla me iper critica che mi caratterizza,   per finire con l’imparare ad apprezzarmi e guardarmi con uno sguardo positivo.

In un momento della mia vita molto difficile, in cui tutto mi sembrava ingiusto e distorto, ho iniziato a sentire l’esigenza di introspezione, di ricerca di una mia crescita che volgesse il mio sguardo al mio interno e non all’esterno.

Coltivare una parte interiore necessita attenzione, calma e silenzio. Per me l’autoritratto è stato una sorta di meditazione, una ricerca nella direzione verso la consapevolezza e accettazione di me stessa.

Ho così imparato a riconoscere i miei pensieri e poi a riconoscermi e apprezzare le mie sfumature  dalle fotografie.

Come sapete questa serie di articoli è scritta in collaborazione con la Dottoressa Indirli (QUI trovate il suo sito), oggi ci parlerà del perchè un autoritratto viene considerato terapeutico.

Si sente dire che l’autoritratto è terapeutico, ma che significa?

Nell’articolo precedente abbiamo provato a illustrare le differenze che ci sono tra selfie e autoritratto, suggerendo in conclusione che quest’ultimo potrebbe per sua natura rappresentare un valido strumento investigativo su noi stessi, una finestra sul sé o, come si può dire, uno strumento terapeutico.

Cominciamo domandandoci: che cos’è terapia?

E’ prendersi cura di sé o dell’altro, un’attività per la quale possono giungerci in aiuto alcuni strumenti: uno di questi è appunto l’autoritratto.

Ma in che modo ritrarsi attraverso una fotografia dovrebbe aiutare a prenderci cura di noi? La risposta risiede nella grande capacità che l’immagine, e in particolare la fotografia, ha di attivare il nostro lato emotivo. Essendo una parte fondamentale del proprio io, alla base del nostro stato di benessere interiore, rimanere ben collegati con essa, senza mai ignorarla o tagliare i rapporti, è chiaramente un accorgimento di grande rilevanza in ambito terapeutico.

In un secondo momento, è poi in particolare l’oggettivizzazione a permetterci di indagare il prodotto-autoscatto. Con “oggettivare” in questa sede ci riferiamo essenzialmente al rendersi oggetto materiale, di paure e gioie, pregi e difetti: da significati astratti diventano qualcosa che si può tenere in mano e guardare: una foto, appunto.

Una volta resi materiali, noi stessi come corpi e come emozioni, possiamo essere osservati, compresi e, assieme ad un professionista, essere oggetto di lavoro volto sempre e solo al miglioramento della propria persona.

Come mai ad esempio ho scelto di raffigurarmi davanti uno sfondo a tinta unita, magari bianco? Perché al contrario ho scelto uno sfondo caotico, che a malapena permette di notarmi? Mi sono ritratto in un angolo, al centro, in primo piano o piccolo piccolo dietro una colonna? Sono ritratto in movimento, o sono immobile? Qual è la posa che ho scelto, e cosa dice di me?

Oltre che a seguire ciò che la composizione, i colori e la luce ci raccontano, possiamo anche osservarci fisicamente. Di fronte a noi troviamo infatti proprio il pacchetto completo: abbiamo permesso ai nostri pregi e difetti di comparire su carta (o display) e di mostrarsi per ciò che sono. E cosa sono?

Sono il frutto di un giudizio scaturito da criteri sani e misurati, o derivati senza mediazione alcuna dall’esterno?

Chi ti ha impresso nella mente che quel particolare sguardo, così ammiccante e sensuale, non si fa?

La tua altezza, la conformazione delle tue caviglie o delle tue spalle, dei tuoi zigomi o dei tuoi occhi: chi ti ha detto che non vanno bene?

Hai mai pensato che l’opinione che hai di te stesso potrebbe essere il giudizio che altri ti hanno affibbiato in altre fasi della vita? Un giudizio scarno di mediazione, solo preso così come ci è stato dato o scaraventato addosso.

Fermati e non giudicarti in maniera così spietata: diresti mai a un amico ciò che dici a te stesso?

Dott.ssa Serena Indirli Psicologa

www.serenaindirli.it

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