La fotografia come strumento terapeutico.
Negli ultimi anni di conversazioni silenziose con la fotografia mi sono chiesta come fosse cambiato il mio approccio e il mio sguardo con questo strumento di lavoro potentissimo.
Ho così scoperto che da un primo approccio totalmente commerciale, tecnico e quasi accademico, che risale ai tempi del lavoro nello studio fotografico, sono passata ad uno sguardo molto più emotivo e profondo. La fotografia per me è ascolto, emozione ed empatia.
Proprio alla luce di queste considerazioni ho deciso e fortemente voluto dare il via ad una collaborazione che spero troverete interessante e magari anche possa fornire spunti utili di riflessione.
Con cadenza mensile usciranno articoli scritti a quattro mani con una professionista che stimo moltissimo, la Dottoressa Serena Indirli.
Serena oltre ad essere una delle mie più care amiche è una Psicologa ed insieme andremo a parlare del legame che c’è fra Fotografia e Psicologia.
” La fotografia possiede la grande capacità di comunicarci un messaggio: può farlo con un sussurro impercettibile, potrebbe invece strillarcelo, se non dircelo tra i singhiozzi. In ogni caso però, è bene ascoltare e saperlo interpretare.
L’importanza della fotografia sta nella sua capacità di fissare un momento presente e reale e tanto più un’immagine è evocativa tanto più può offrirci una finestra sul passato e su noi stessi.
La psicologia ci fornisce gli spunti per analizzare e trarre beneficio da uno strumento cosi importante.
Le tematiche che affronteremo saranno molte e spesso date per scontato, il nostro intento è andare ad approfondirle e dare modo di arrivare a fotografare o guardare un immagine in modo più consapevole.”
Ho chiesto alla Dott.ssa Indirli di parlarmi di Selfie e Autoritratto essendo per me questo mese dedicato appunto a quest’ultimo.
Tengo molto a questo argomento, io stessa ho sperimentato questo strumento in un momento di ricerca di equilibrio e consapevolezza.
Oggi vorrei andare sondare quali differenze ci sono fra un selfie ed un autoritratto da un punto di vista fotografico e personale per poi passare la voce alla Dott.ssa Indirli.
Prima differenza fra tutte è l’intenzione.
Il selfie risponde ad un bisogno immediato, un bisogno narcisistico di autopromozione. Un bisogno che si esaurisce subito e presto dimenticato.
L’autoscatto è un racconto intimo del nostro sentire, un diario personale dove riporre ricordi e cercare risposte. Lascia traccia della nostra storia andando a creare immagini evocative che un giorno potranno servirci per ricordare la strada percorsa nell’individuazione delle nostre emozioni.
La stessa postura nel produrli cambia. Nel selfie siamo un tutt’uno con lo smartphone come se questo fosse un prolungamento del nostro braccio, semplicemente guardiamo in camera come a chiedere “Mi vedi?, come ti sembro?”. La fotocamera frontale funge molto da specchio… ci guardiamo e aggiustiamo per essere visti come vorremmo apparire.
L’autoritratto richiede uno spazio maggiore, un dialogo con esso e la luce, lo sguardo può essere altrove, indagatore o riflessivo, in ogni caso siamo persi nella nostra dimensione e non abbiamo nessun bisogno di capire se l’immagine piacerà o meno in quanto essa risponde al bisogno personale di documentare un’emozione o uno stato.
Non abbiamo riscontro, se non in post produzione, con la fotocamera, questa la chiave dell’enorme differenza che c’è fra i due. Fra il come appaio e il come sono.
L’altra enorme differenza sta appunto nella progettualità.
Ho sentito fare questo esempio da una grande fotografa di autoritratto che secondo me calza perfettamente.
“Il selfie è come ordinare una pizza, è buonissima, ma non fai nessuno sforzo per prepararla.
L’autoritratto è come preparare una cena per amici, si passa dalla scelta del menu, all’acquisto degli ingredienti, alla preparazione e far si che tutto sia in armonia per accogliere gli invitati.” L. Zalenga
L’autoritratto è un lavoro lento e minuzioso. Progettato, studiato, narrato.
C’è sempre un periodo di conoscenza con il porsi dall’altro lato della fotocamera fra il fotografo e il modello, nell’autoritratto dobbiamo essere artefici e modelli e questo presuppone un periodo di apprendimento. Ma c’è anche un gran senso di libertà, siamo soli, noi e la fotocamera, nessun dialogo con qualcuno, se non un dialogo introspettivo.
Se deciderai di provare ricordati che stai investendo tempo su te stesso. Ti prenderai cura di una parte di te.
L’autoritratto è una sorta di meditazione, ti concedi del tempo, dello spazio e dell’importanza.
Devi pensare a te in quanto individuo, “questa sono io e devo vedere la bellezza che c’è in me” non importa se ci sono dei lati in te che non ami, ma con il tempo imparerai ad accettarli e renderli protagonisti. E’ questa la ragione per cui bisogna ritrarsi. Trovare la nostra propria bellezza.
Ma dei benefici di un autoritratto ne parleremo in un secondo momento.
Molti pensano che autoritrarsi sia segno di vanità… Non c’è niente di più sbagliato. Nell’autoritratto, a differenza di un selfie, non abbiamo bisogno del consenso, di una sicurezza esteriore, dobbiamo solo raccontare una storia.
Lascio di seguito l’articolo della Dott.ssa Indirli e se in seguito vorrai approfondire l’argomento o farti fare dei ritratti che sappiano mettere il luce i tuoi pensieri potrai scrivermi qui.
A cosa ci serve un selfie?
E se fosse un autoscatto?
E che differenza c’è?
Un saggio maestro mi disse un giorno, che non esistono delle giuste risposte, ma solo delle giuste domande. Questo mi aiutò a riprendere ed a capire davvero il significato delle parole di un altro maestro tra i maestri, molto più antico di lui… Socrate che, attraverso la maieutica, ci ha sempre voluto insegnare a conoscere noi stessi attraverso il nostro saperci porre domande continuamente.
Ed ecco lo spirito di questa rubrica che vuole “sbirciare” attraverso i vostri occhi ed i vostri obiettivi fotografici nella meraviglia che siete e che non vedete.
Selfie e autoritratto sono la stessa cosa? Hai mai pensato alle possibili differenze tra questi due modi di ritrarci?
Lo sappiamo: con l’avvento dell’era digitale alcune pratiche si sono modificate. Una di queste è senz’altro l’autoritratto: la telecamera frontale del nostro smartphone, infatti, ha certamente rivoluzionato il modo di scattare foto di noi stessi.
Lungi dall’obiettivo di demonizzare l’abitudine al selfie, proviamo però a indagare, da un punto di vista psicologico, le caratteristiche di entrambi.
Il Selfie
Il selfie è il modo senz’altro più veloce e immediato di procurarsi un’immagine di sé: basta afferrare il telefono, attivare la fotocamera interna, mettersi in posa e forse, senza essersi neanche alzati in piedi, ecco che l’opera è compiuta.
Già a partire da questo momento, cominciano ad affacciarsi alcuni interrogativi su noi stessi che possono farci riflettere.
Come mai voglio scattarmi un selfie?
Se la prima risposta “furba” che ti dai è: ”Perché mi piace”, ti dico subito che non vale. Hahahah
Ok. E perché mi piace?
Voglio essere riconosciuto, apprezzato dagli altri?
Voglio pubblicarlo o voglio tenerlo per me e per ricordarmi quel momento?
Volgi ora lo sguardo alle tue emozioni.
Chi vuoi che veda davvero il tuo selfie? E perché?
Sto cercando di colmare un vuoto emotivo dentro di me?
Non mi sento abbastanza visto o riconosciuto nei miei “diritti”?
Capisco bene che a colpo d’occhio sembrano domande lontanissime dal momento che con apparente leggerezza ci si fa un selfie, ma credimi, che osservando quella foto, quello scatto potrai scoprire e lavorare su te stessi.
L’autoritratto o autoscatto
Come sappiamo comunque, esiste un altro modo di rappresentarci: l’autoritratto. A differenza del selfie, un autoritratto lo si può ragionare, studiare e costruire tra molteplici tentativi ed esperimenti, tra luci, sfondo, colori, composizioni e setting. In altre parole, l’autoritratto è una vera e propria esperienza, in grado di regalarci la possibilità – è proprio il caso di dirlo – di metterci a fuoco.
Se decidessimo infatti di porci di fronte all’obiettivo – che sia del telefono o della reflex, fissato su un treppiedi o sul mobile – e scattare le prime fotografie, ancora prima di impostare il timer per farci ritrarre, forse noteremmo già nella nostra testa un certo vociare.
Si… sono proprio loro… si … senti le voci… hahaha, ma non sei psicotico, tranquillo.
Sei solo tu e il tuo pesante giudizio.
“Le mie spalle sono troppo ossute. Le mie caviglie sono gonfie e sgraziate. Le cicatrici della mia acne sono orripilanti e non piacerebbero a nessuno. In poche parole: non apparirò mai come vorrei.”
Ma com’è che voglio apparire? Come sono giunta/o a ritenere più belli gli occhi azzurri rispetto che a quelli marroni? È possibile che l’ideale di bellezza che ho, mi sia stato imposto senza che io mai ci riflettessi su?
Attraverso quali occhi hai appreso tutti questi presunti difetti e giudizi? Sono davvero i tuoi?
Come abbiamo già detto, si tratta di un esercizio abbastanza dispendioso in termini di impegno e tempo. E se subito ci accorre alla mente il nostro ormai slogan “non ho mai tempo”, domandiamoci: è proprio vero che non ne abbiamo? Forse a frenarci è qualcos’altro, qualcosa di più profondo? C’è qualcosa che non vogliamo vedere e affrontare di noi? E perché?
Ed ecco che, come il selfie, anche l’autoritratto può farci affacciare, come su un balcone panoramico o una lente di ingrandimento su quel profondo panorama meraviglioso che siamo.
E se ne abbiamo paura?
Bene, nella prossima uscita la risposta. Come la fotografia sa essere terapeutica.
Dott.ssa Serena Indirli Psicologa
2 Comments