Come scegliere il nostro autoscatto e riflessione sull’autoaccettazione.
Eccoci qui al terzo capitolo sull’autoritratto. Questo sarà l’ultimo capitolo su questo argomento specifico, che tanto ci ha appassionato e ci incuriosito per l’aiuto che ci da nella nostra crescita personale.
Torneremo in futuro sull’autoritratto, ma dalla prossima volta andremo a discutere di altri argomenti correlati alla fotografia e psicologia.
Uno in particolare mi incuriosisce moltissimo e non vedo l’ora di poterne discutere insieme alla Dott. Indirli, il “Genogramma fotografico”, ma non aggiungo altro e vi lascio appuntamento al prossimo articolo.
Nel nostro ultimo articolo abbiamo ancora parlato di autoritratto e di come questo possa avere riscontri terapeutici della nostra crescita personale. Trovate gli articoli precedenti qui e qui.
Ma come fare per scegliere lo scatto giusto? Come riuscire a svincolarci dalla visione giudicante di noi stessi per fare una scelta scevra da ogni filtro e consapevole?
“Non essere come pensi ti vedano gli altri, esplora te stessə e scopri cosa si nasconde in te”
Il segreto forse è dare voce al nostro pensiero, dargli forma e spessore, mettere dei paletti la dove ci sono rapporti giudicanti o negativi per il nostro benessere. Dare importanza a noi stessi e al nostro corpo, con la consapevolezza che non dobbiamo essere come crediamo ci vorrebbero gli altri.
Il fotografare è sempre spinto da un moto interiore, anche quando mettiamo a fuoco un paesaggio esteriore, eppure l’autoritratto ha la qualità di introspezione che è difficile da trovare in qualunque altra espressione fotografica.
Fotografarci ci impegna in una riflessione che riguarda intimamente e che forse può rivelare cose nuove, paure, splendenti e magiche.
Conoscersi ci rende più forti, svelarci ci rende più consapevoli e non è forse questo in fondo uno dei compiti della fotografia?
Bisogna pensare a noi stessi come individui, “questə sono io e devo vedere la bellezza che c’è in me” non importa se ci sono dei lati che non amiamo, non fotografiamoli all’inizio, ma con il tempo impariamo ad accettarli e renderli protagonisti.
E’ questa la ragione per cui bisogna ritrarsi.
Trovare la nostra propria bellezza, quella autentica, quella che proviene dall’interno e libera da filtri e lenti che ci hanno imposto, più o meno consciamente, gli altri e la società.
Scegliere la foto finale in mezzo a tutte quelle scattate non è semplice. Io, per esempio, quando faccio un autoritratto faccio centinaia di scatti, non sono mai soddisfatta, ma poi arriva il momento di scegliere.
Per scegliere uno scatto (che sia autoritratto o ritratto vige la stessa regola) faccio così…
- Guardo gli aspetti tecnici di inquadratura, luce e simmetria. Se le ombre sul viso sono morbide o dure, se tecnicamente l’immagine è bilanciata e corretta.
Questi sicuramente sono dettagli da “addetto ai lavori”, ma si può comunque cercare di valutare se uno scatto è buono soprattutto per quanto riguarda il rapporto luci/ombre.
Spesso la luce cade sul volto in modo forte creando delle brutte ombre intorno a naso e occhi, quindi cerchiamo di valutare che il volto sia correttamente illuminato, questo ci eviterà di faticare in fase di post-produzione.
2. Valuto la mia espressione.
Se sono tesa o si vede che sono a disagio mi faccio queste domande:
“Quanto il giudizio verso me stessa mi sta bloccando?”
“E’ veramente così? Ho una espressione tesa o semplicemente non mi piaccio?”
A volte si tratta di scoprire dettagli nuovi anche nelle rughe del viso, quell’espressione che non sapevamo di avere, quella sfumatura nuova tutta da scoprire.
3. Ma c’è un aspetto più importante di tutti.
Le emozioni.
Guardando quello scatto ho reso bene il mio sentire? Ho scoperto qualcosa di nuovo di me? Ho una luce interiore che non conoscevo?
Tutto quello che può scaturire in una riflessione è importante.
Quindi, forse, indispensabile è liberarsi di tutte e convinzioni limitanti che non ci permettono di crescere e progredire, ma adesso lascio la parola alla Dott.ssa Indirli, qui trovate il suo sito.
Nello scorso articolo abbiamo parlato della potenzialità terapeutica dell’autoscatto, notando quanti spunti di riflessione esso ci fornisca. In questo articolo proviamo ad approfondire il tema principale del suo contributo terapeutico: parleremo di autoaccettazione.
L’accettazione in psicologia, così come all’interno del percorso psicoterapeutico, ha un ruolo e un’importanza mastodontiche. E non a caso.
Accettare ciò che la vita ci pone in mano, giorno dopo giorno, anno dopo anno, è un’abilità fondamentale per chiunque abbia intenzione di vivere senza farsi trascinare senza controllo né sosta dal caos cui può sottoporci.
E se ci soffermassimo un attimo a riflettere, noteremmo che uno dei doni più importanti che la vita ci offre è proprio il nostro corpo: ciò che davvero al mondo si può definire di nostra proprietà, la nostra prima, ultima e vera dimora. E come tale, va saputa amare.
Purtroppo, non è sempre così scontato, specie in una modernità, la nostra, in cui quasi ogni istante online ci vengono presentati standard piuttosto pretenziosi. E forse lo sguardo che più ha preteso da noi può anche essere stato quello di una madre o di un padre quando eravamo più piccoli, o qualsiasi persona importante le cui lenti, che da allora abbiamo continuato forse ad usare, è giunto il momento di restituire al legittimo proprietario.
Si tratta di raggiungere finalmente la pace, senza preoccuparsi inutilmente e chiudersi in un cerchio di lamento tossico continuo.
E come può la fotografia correrci in aiuto?
Come abbiamo appurato nello scorso articolo, essa ha la capacità di porci dinnanzi agli occhi la realtà o, più specificamente in questo caso, il proprio corpo.
Parliamo ovviamente dell’autoritratto, un’arte ben diversa dal semplice selfie (come abbiamo approfondito in questo articolo).
La natura dell’autoscatto ci permette di guardarci veramente, cercando di raggiungere la condizione in cui non sentiamo più il bisogno di giudicarci negativamente senza ragione.
Accettarsi non significa affatto rinunciare all’immagine di sé che più ci aggrada, significa amarsi. E amarsi può voler significare molteplici cose.
Può significare accorgersi che il corpo che si pensava di desiderare, in realtà non appartiene al sé che più ci piacerebbe. Oppure si dà il caso che sì, c’è una versione di sé che indosseremmo più volentieri e che sì, si può fare qualcosa per raggiungerla.
Il tutto comincia però non da un giudizio malevolo, bensì da un pensiero premuroso verso se stessi, uno sguardo d’amore.
Dott.ssa Serena Indirli Psicologa
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